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da Repubblica (noto quotidiano sovversivo)

26 maggio 2011 — pagina 26 sezione: Cronaca

TORINO – Ci sono due numeri che parlano più chiaro di altri. Per valutare come funziona il proprio sistema scolastico l’Olanda impiega circa 300 ricercatori. Per svolgere lo stesso compito l’Italia, che ha il triplo di studenti rispetto ai Paesi Bassi, ne utilizza 12 a tempo indeterminato, più una manciata di dottorandi e stagisti, attraverso un organismo che si chiama Invalsi, Istituto nazionale di valutazione del sistema educativo.

Di qui l’idea della Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo di Torino: far lanciare alle fondazioni bancarie una sorta di “opa” sull’ente che si occupa di misurare l’efficienza dell’istruzione italiana.

La soluzione per il rilancio dell’Invalsi è stata esposta ieri dalla presidente della Fondazione per la scuola, Anna Maria Poggi, al termine di una due giorni dedicata alla valutazione che ha coinvolto alcuni dei massimi esperti mondiali in materia. Funziona così. Oggi l’Invalsi tira avanti grazie a 10-11 milioni di euro garantiti dal ministero dell’Istruzione. L’idea è di coinvolgere alcune fondazioni bancarie già attive nel campo dell’istruzione (come la Cariplo, la Cassa di Cuneo o la stessa Compagnia di San Paolo)e di garantire all’istituto un’altra decina di milioni di euro in modo che possa raggiungere un livello di funzionamento ideale. In questo modo l’ente rimarrà pubblico, anche se periodicamente i finanziatori chiederanno conto dei risultati ottenuti. Così, spiega Anna Maria Poggi: «L’istituto permetterà di fare quel salto di qualità necessario a un Paese che dispone di un sistema scolastico che sta camminando troppo lentamente. Siccome il Governo ha risorse limitate, l’unico modo per investire in tempi rapidi sulla valutazione è la sussidiarietà». Potenziare l’Invalsi per poter così migliorare l’intero mondo della scuola. E di conseguenza anche l’economia italiana.

Perché, come sostiene Eric Hanuschek, docente americano alla Stanford University, c’è una rapporto tra il miglioramento dei dati Ocse-Pisa, che rilevano la bontà dei sistemi di istruzione, e la crescita del Prodotto interno lordo: «I paesi che fanno meglio, soprattutto nelle scienze sono quelli che crescono di più. All’Italia essere al di sotto della media Ocse costa circa 2,5 punti di Pil ogni anno». Ecco perché, secondo la presidente Poggi «il sistema di valutazione dev’essere un’infrastruttura del Paese, come lo sono le ferrovie o la banda larga. Misurare l’efficienza della scuola è necessario. E su questo ormai c’è una consapevolezza diffusa in Italia». In realtà, c’è anche quello zoccolo duro di insegnanti e sindacati (Cobas in testa) che non ci sta e che a inizio maggio ha boicottato le prove Invalsi, accusandole soprattutto di far prevalere la logica dei quiz sulla didattica tradizionale. Ma Anna Maria Poggi è fiduciosa: «Oggi l’opposizione ai test riguarda il 10 per cento dei docenti, una cifra piccola che però crea una conflittualità difficile da gestire per il dirigente scolastico. Tuttavia, creare un sistema di valutazione solido darà maggiori certezze a tutti».

STEFANO PAROLA