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Opera della “nostra amica” Anita (IIIE 2009), un notevole racconto che ha per tema un’intervista immaginaria.

Ero nel mio laboratorio in una notte di scatenata tempesta, e seduta di fronte alla finestra pensavo a quale personaggio storico avrei riportato in vita. Sarebbe stato Cesare? Forse Dante Alighieri?…Niente affatto…meglio qualcuno di interessante.  Mentre pensavo a chi avrei scelto la luce dei lampi mi permetteva di contemplare le montagne verdi, l’acqua cerulea del lago e il tutto avvolto da una foschia grigia. Chissà se tutti vedono i colori come me?? Chissà se quello che io identifico come verde, qualcun altro non lo vede come io vedo il giallo?? …E a chi sarebbe meglio chiedere se non a Dalton!!!!

EUREKA!!! Ho trovato! Avrei usato il mio ingegnoso Lazzarus X per riportare in vita il mitico quacchero! …Ma prima di tutto vi spiego un po’ meglio cos’è il mio “Lazzarus”. Leggendo gli appunti del dottor Frankenstein, e riflettendo sulle teorie di Einstein ho risolto che riportare le persone in vita è possibile…basta crederci. Il funzionamento è molto complicato da spiegare e non porta le persone insieme al corpo. Si può scegliere di portare solo l’anima (che poi non è altro che una connessione con l’essenza dell’individuo), oppure di impacchettarla, per così dire, in un corpo temporaneo. Una volta ho fatto parlare la teiera con l’anima di Garibaldi.

Ora dovevo mettere in marcia la mia invenzione. Inietto quattro litri di amantium, altri quattro di chemical X e solo due piccole gocce di H2O (una per portare in questo mondo gli esseri, l’altra per farli tornare). Tiro le quattordici leve di ottone e la macchina è in funzionamento. Tutti gli ingranaggi iniziarono a cigolare e una figura fantasmagorica cominciò a plasmarsi nel vuoto.

Aspettavo emozionatissima che lo spettro finisse di formarsi, mi sudavano le mani e iniziavo a pensare alle domande che avrei fatto.  Oltre a qualche immagine che avevo visto in un libro, su come sia Dalton dal “vivo” ne sapevo ben poco. Sarebbe stato più alto di me? E che cosa avrei fatto se il suo odore fosse da oltretomba?? Mi sedetti su una poltroncina e vidi come la cupola di vetro temprato veniva innalzata dalle pesanti catene appese sul soffitto.

Era fantastico, Dalton si mise a posto la giacca e mentre si guardava intorno scese gli scalini del macchinario. Mi alzai e corsi verso di lui per stendergli una mano. Lui mi salutò chinando leggermente il capo, con un sorrisino tra le labbra. Aveva tutta l’aria di essere un simpaticone. Lo invitai a sedersi, e lui accettò…voleva capire perché si trovava lì.

Di solito le anime appena arrivate sanno già di essere morte e non hanno bisogno di spiegazioni. Come mai John sembrava non accorgersi della sua non-consistenza? Quando riportai in “vita” Garibaldi sembrava abbastanza convinto di essere una teiera fantasma…anche Napoleone era convinto di essere se stesso quando l’ho riportato nel corpo di un pover’uomo (che poi lì dentro è rimasto, l’uomo adesso è al manicomio). Ma certo!! Avevo dimenticato di inserire lo spettro in un corpo materiale!!

Ero scombussolata a pensare come avrei fatto per riportarlo indietro…ma ero anche ipnotizzata come un toro dal colore rosso Babbo-Natale del vestiario di John. La mia convinzione mi spingeva a credere che gli scienziati, pur essendo bizzarri, fossero sobri per vestire.

Mi incoraggiai a rivolgergli la parola e dissi:

“Lei ha proprio un bel vestito… e tutto quel rossore gli ravviva il volto, Signor Dalton.”

“Rosso ha detto?…” – si guardo stralunato i pantaloni e aggiunse- “ OH NO!!!!  HO INDOSSATO DI NUOVO L’ABITO SBAGLIATO!!!!”

Infatti il signor Dalton era certo di aver messo pantaloni e giacca di un elegante marrone bluastro. Era comico vedere come John fosse irritato e allo stesso tempo imbarazzato. Usai parole lusinghiere per fargli comprendere che a me piaceva molto il suo abito.

Poi passai ad altri discorsi…ero molto curiosa di sapere qualcosa sulla sua vita. Lui mi disse che amava lo studio e la conoscenza, s’incamminò al sapere fin dalla più tenera età. Era talmente bravo che a dieci anni leggeva i Principia di Newton in latino e già a dodici anni poteva fare il maestro, e così fece praticamente per il resto della sua vita. S’impegnò negli studi e nell’insegnamento. A quei tempi era normale che i bambini si ritrovassero geni della portata di Dalton a insegnare loro aritmetica e grammatica. Erano altri tempi…molto lontani da noi dal punto di vista tecnologico. Mi intenerivo a sentire i suoi racconti. Dalton mi parlò di Jacob e del piccolo Tommy, i suoi studenti più cari. Anche se pur avendo dei preferiti, lui trattava tutti allo stesso modo e dava a tutti le stesse possibilità. Era convinto che attraverso lo studio si potesse raggiungere un futuro migliore. Era convinto anche che tutto fosse composto d’atomi, piccole unità di materia indivisibili che si combinano con una quantità fissa tra di loro e stanno in rapporti razionali, espressi da numeri interi piccoli. Le sue convinzioni erano fondate scientificamente da esperimenti eseguiti da lui stesso.

Gli chiesi interessata se partecipavano ragazze alle sue lezioni, e sorprendentemente la risposta fu affermativa. Ce n’era una soltanto, figlia di un ricco della zona. Jane, si chiamava…e stava correggendo proprio il suo compito quando nel 1826 il chimico francese PJ Pelletier andò a Manchester per trovare il grande uomo di scienza, quello della Teoria Atomica.  PJ immaginò Dalton occupare una cattedra importante di una qualche istituzione scientifica del tempo e rimase giustamente perplesso nel trovare questa figura mirabile nel corpo di un quacchero, maestro di una piccola scuola elementare. Con un’imitazione M.M. (molto mirabile) John mi ripeté le parole balbettate da Pelletier, il giorno della sua  visita: “Est – ce que j’ai l’honneur de m’addresser à Monsieur Dalton?”, che tradotto in italiano siginifica: “Ho forse l’onore di incontrare Sir. Dalton?”.  Mi raccontò, seduto sulla poltrona, di aver chiesto a PJ Pelletier se si poteva gentilmente accomodare sulla sedia mentre lui finiva di correggere i compiti con la ragazzina!!! Mi misi a ridere, immaginando la scena e lo stupore del francese di fronte a questo personaggio, come del resto lo sono io, vedendolo vestito tutto di rosso davanti a me.

Ridemmo insieme mentre fuori la pioggia cadeva a catinelle … e a proposito di pioggia John mi chiese se sapevo come essa si formasse. Io glielo spiegai nel modo più semplice e corretto possibile e lui stravolto non credeva alle sue orecchie! (ai suoi occhi ormai non ci credeva da tanto). Dalton era molto interessato di meteorologia, e a sapere che con le sue ricerche era sulla buona strada stava quasi per piangere. Sorridendo gli dissi che praticamente tutti conoscono il meccanismo della pioggia al giorno d’oggi. Quando iniziò a scoprire quante altre cose conosciamo noi non volle più tornare nell’aldilà. Un brivido mi percorse la schiena. Dove avrei nascosto il fantasma del grandissimo membro della Royal Society of London??? Uno così non si nasconde mica sotto il letto …

Appena ne ebbi l’opportunità mi collocai di straforo tra le pesanti tende e la campana di vetro. Dalton mi cercava e …quando finalmente si avvicinò sufficientemente alle tende, gli saltai addosso e lo spinsi dentro la campana. Abbassai in tutta fretta le catene e la campana (per fortuna temprata) piombò sulla base. Non poteva più uscirne. Picchiava contro il vetro ma la sua non-consistenza gli impediva di romperlo. Sentivo un po’ di pena a riportarlo da dove è venuto, quindi lo contemplai per l’ultima volta e tirai in su tutte le leve. La seconda goccia d’acqua cadde su Dalton, e Dalton sparì.